Data: 30/04/2015 - Anno: 21 - Numero: 1 - Pagina: 33 - INDIETRO - INDICE - AVANTI
Letture: 596
AUTORE: Vincenzo Squillacioti (Altri articoli dell'autore)
Quando si tratta di certi argomenti si può asserire senza tema di sbagliare che il fondo non è mai raggiungibile, perché c’è sempre un fondo più profondo di ogni fondo. Se ciò non è confutabile è altrettanto inconfutabile che fa ormai spavento l’idea del fondo raggiunto dal degrado della persona, spesso definita superficialmente “umana” anche da alti e autorevoli podi. Un po’ ovunque, sul Pianeta, pare si sia dato spazio in questi ultimi decenni all’affermazione degli istinti peggiori, dell’uomo sull’uomo. Da noi, in particolare, in questi ultimi trent’anni s’è affermata la Scuola, sfacciata ed esaltata, dell’arrivismo, del culto dell’immagine, della trasgressione, del disprezzo della norma, della demagogia, del facile guadagno, dell’arricchimento, della frode, dell’inganno,… Una Scuola voluta, realizzata e gestita dagli occupanti di turno del potere, dai loro consiglieri e soci, dai loro amici, dai loro sguatteri, dai loro schiavi. Una Scuola che ha sempre più pervaso la sempre più debole democrazia italiana sino a farne una schiava e uno zimbello da far ridere di noi il mondo intero. Una Scuola destinata a non morire facilmente, nonostante gli attuali sbandierati ma non facilmente credibili proclami di senso contrario. Le conseguenze di un tale tragico sistema sono sotto gli occhi di tutti. Oggi in Italia, l’uomo della strada, colui che per sua natura o per incapacità o per scelta non si vende, che non si lega al carro del potente o del prepotente che dimora nella stanza sia pur piccola dei bottoni, è destinato a venire schiacciato, o a restare ai margini per sempre, perché difficilmente trova lavoro, difficilmente trovano accoglimento le sue legittime richieste, difficilmente viene ascoltato. E aspetta. Aspetta per numerosi mesi il suo turno per un accertamento diagnostico; aspetta per ore infinite di sentire una risposta da Enti al telefono; aspetta senza speranza di conferire con un direttore di chi non risolve il problema; aspetta intere giornate al Pronto Soccorso; aspetta per centinaia di ore ogni anno dinanzi allo sportello di un Ufficio postale;… In Italia, però, è facilmente identificabile il popolo che aspetta: è quella parte del popolo che non ha meriti speciali tali da acquisire la potestà di attivare canali alternativi veloci ed efficaci. Quante ore perdono gli Italiani dinanzi agli sportelli degli uffici postali? Chi si preoccupa delle estenuanti attese della gente per fare una raccomandata o per pagarsi la pensione? Il sonno di chi viene turbato al pensiero di centinaia di migliaia di persone che ogni giorno sono costrette a sacrificare parte della loro esistenza nell’attesa, non comoda né allegra, dentro gli uffici postali? Era un grande e rispettabile Ente Poste Italiane Spa, nonostante i 777 miliardi di lire di debito, quando, nel 1998, fu affidato per il risanamento al grande manager Corrado Passera, al quale sono bastati appena quattro anni per portare il bilancio delle Poste all’attivo. Per cominciare ha disposto un taglio di 22.000 dipendenti. Cioè: le Poste Italiane hanno cominciato a pagare 22.000 stipendi al mese in meno, caricando di lavoro il restante personale e dando inizio ad un sistema di selvaggia precarizzazione che tuttora perdura e si consolida. Nelle Poste e dappertutto. Massimo Sarmi, succeduto a Passera per tre mandati, poté andare avanti a gonfie vele nel fare di Poste Italiane un grande e attivo Istituto Bancario e Commerciale. Di quel periodo è la disposizione “interna” di abolire il timbro di arrivo sulla corrispondenza ordinaria: un grande risparmio per Poste, ma uno scippo nazionale per milioni di utenti che perdono di fatto l’elementare diritto quando Enti vari (Enel, Telecom, ecc.) procedono al “distacco del servizio per mancato pagamento”, con conseguenze anche di tipo economico. Con quale timbro postale può l’uomo della strada dimostrare che la bolletta è arrivata in ritardo?! Che dire, infine, dei milioni di ore che il Popolo italiano perde in attesa dinanzi agli sportelli dove gli operatori postali sono sempre di meno al fine di risparmiare in stipendi? Vorremmo a questo punto presentare una stima, che non ha la pretesa di asserire dati certi e incontestabili, ma che ha, invece, lo scopo di dare una sia pur pallida idea del reato sociale che viene consumato ogni giorno in nome del risparmio che si pretende di perseguire con la copertura della razionalizzazione e dell’efficienza. Ebbene, nel 2013 gli uffici postali in Italia erano 13.310 (erano 13.992 nel 2009). Se ogni giorno 20 persone sono costrette all’attesa media di 1 ora nel loro ufficio postale, abbiamo un’attesa totale giornaliera di ore 266.200. Se moltiplichiamo per 6 giorni abbiamo che le ore di attesa sono 1.597.200 ogni settimana. Non sarebbe difficile, a questo punto, stimare il costo in euro di queste ore. Ma mi fermo qui. Si tratta di una gigantesca perdita di tempo, sottratto al lavoro, alle relazioni alla famiglia, al volontariato, al riposo,… A chi addebitare tale perdita? Si tratta di un reato? Chi scriverà la sentenza di condanna? |